Sto zappettando intorno ai cavoli appena piantati.
Battista mi guarda e dice sì, così, bene.
E’ contento di non doverlo fare lui.
Vanna gira lì attorno.
Poi si mette anche lei a zappettare un’aiuola.
Battista comincia a brontolare.
Anche Vanna comincia a brontolare.
Io invece mi sento felice anche se mi fa male la schiena.
I miei figli non vengono mai…
Sono proprio finita, dice Vanna.
Battista racconta di sua madre
che si sposa a vent’anni e fino a ventinove niente figli e poi ne partorisce nove.
Li vedo. Sono tutti nei campi a fare il fieno. La mamma di Battista a casa col più piccolo.
Fa caldo. Battista, scendi a prendere da bere, urla suo padre,
e lui scende
e il piccolo è là, nella vasca, riverso, e Battista comincia a piangere. Piange come fanno i vecchi, con poche lacrime e il viso che si muove appena. Una lama d’aria muove l’erba. Il piccolo galleggia fra le piantine di cavolo; la sua mano galleggia paffuta e morta. Una lumaca fa capolino da un cumulo di terra. Battista gocciola dalle mammelle di sua mamma, gocciola sulle piantine di cavolo che crescono verso il sole, e giù, nelle radici e nei vermi.
Le stagioni vorticano attorno, aprono e chiudono ante, chiudono e aprono la bocca di Vanna che tiene le mani in grembo e scuote la testa.
C’è una sinuosa tristezza. E c’è il sole che tramonta e risale e tramonta di nuovo.
Vedo il fratellino di Battista che nuota fra i cavoli, vedo la mamma di Battista appesa alle stagioni, il suo cuore si spacca, un pezzo vola nel vuoto, uno cade fra le mani di Battista.
A quel punto i miei occhi incontrano il vialetto, penso che è tardi, devo comprare ancora i biscotti, mentre il fratellino di Battista non smette di morire per molte stagioni a venire