dall’altra parte del mondo

E dall’altra parte del mondo sei tu

duplice sentinella di te prima di me.

Dalle soglie della tua incredibile

forma di amore mi indichi futura. 

E io da laggiù dove tu mi poni 

vorrei mi slegassi alla terra 

come un palloncino al contrario

durevole fra l’erba 

e la mistura ignota del vero a venire

dove la dolcezza di un giorno 

che scolora lento sul viso 

ci disarma e fa.

Sera gialla

Sera gialla. Case gialle. 
Le fughe degli alberi vicine a toccare.
Il vetro scorre cercando il modo.
E in questo restare assenti, toccare il vero.
Anche gli uccelli si incantano qui. 
E qui, sul ramo che vedo, si è posato un passero.
Non l’ho chiamato. È lui a farmi vera.
Senza, non esiste né il passero, né io che lo vedo,
né io che lo dico.

Campi

Campi. Aperti alla fame. Sulla brace di una moltitudine sola.
Un’estate fiera. Giù dai prati, il terrore portato in spalla insieme alla gerla.
Così stava la bambina pensata brutta e sola.
Nel troppo verde, nel silenzio appuntito dei pini, la gola calda della valle.
Neve molto lontana.
I rovi colmi di more muovevano la gonna.
Le case sfioravano l’orlo fra l’intermittenza di passi e sassi.
Una folla premeva alla bocca, incomprensibile.
Per la bambina ogni cosa era verde su blu capovolto.
Nell’abbandono, nidi fra i noccioli lungo il sentiero.
Qualcosa tagliava l’aria, scendeva nella polvere di fieno, giù dal campo dove fascine pungevano i corpi lucenti dei contadini che spaccavano cuore dal cuore coi loro becchi affamati.

In cortile, il sangue grondava dai pali ai quali la bestia era appesa, sgozzata.
Il segreto ben custodito, ringhiava dal buio.
I cardini ghignavano filtrando una luce dal fondo.

Se avesse saputo, se quel giorno un altro rosso fosse corso lungo il solco, se un altro pensiero si fosse fermato fra l’erba, …
Poi piovve. Si bagnò il raccolto. Il fieno marcì.
Le ante ben chiuse non aspettavano niente. Semplicemente, ignoravano.
La bambina stava dentro la pioggia. Stava come un ramo dentro l’inverno. Sentiva le cose intorno, sentiva battere le cose. Volevano entrare.
Un dolore trascinava le parole, il corpo doleva di non poterle dire.
Le cose battevano, battevano

—-2018

Quanto è più grande morire

Entrare forte, spinare l’acino, trangugiare singulti.
Poi la fitta alta.
Tutto bruciato. Deserte le gole. I due estremi svuotati. 

Un fiotto d’aria riporta i due alla luce.
Troppo vicini per sopportare il vuoto, livellano la bocca all’altezza dei minuti.

Fuori c’è un albero acceso. Natale alle porte.

Quanto è più grande morire.

e ancora

Un fitto blu gorgoglia vele rocciose; batte le ali ai fianchi della montagna. 
Le gole si aprono; si affrancano dalla terra.
Ogni possibile si fa alato, lanciato fuori dalla vista.
A metà della salita mi trascina in alto.

È il blu raggiunto mai, eppure qui a pescarmi nella bocca di un pachiderma di bellezza.

A cavalcioni sul dorso delle cime, lo squalo solfeggia la sua lingua letale.
Innamorarsi è questione di caduta, dice. Nessun volo è innocente.
L’ingenuità non ha vela. E gli approdi sono fantasie per briganti.

Libero gli occhi che fanno d’ariete al timore.
Morire non può essere così mirabile, mi dico.

ieri, l’altro

Sto zappettando intorno ai cavoli appena piantati.
Battista mi guarda e dice sì, così, bene.
E’ contento di non doverlo fare lui.
Vanna gira lì attorno.
Poi si mette anche lei a zappettare un’aiuola.
Battista comincia a brontolare.
Anche Vanna comincia a brontolare.
Io invece mi sento felice anche se mi fa male la schiena.
I miei figli non vengono mai…
Sono proprio finita, dice Vanna.
Battista racconta di sua madre
che si sposa a vent’anni e fino a ventinove niente figli e poi ne partorisce nove.
Li vedo. Sono tutti nei campi a fare il fieno. La mamma di Battista a casa col più piccolo.
Fa caldo. Battista, scendi a prendere da bere, urla suo padre,
e lui scende
e il piccolo è là, nella vasca, riverso, e Battista comincia a piangere. Piange come fanno i vecchi, con poche lacrime e il viso che si muove appena. Una lama d’aria muove l’erba. Il piccolo galleggia fra le piantine di cavolo; la sua mano galleggia paffuta e morta. Una lumaca fa capolino da un cumulo di terra. Battista gocciola dalle mammelle di sua mamma, gocciola sulle piantine di cavolo che crescono verso il sole, e giù, nelle radici e nei vermi.
Le stagioni vorticano attorno, aprono e chiudono ante, chiudono e aprono la bocca di Vanna che tiene le mani in grembo e scuote la testa.
C’è una sinuosa tristezza. E c’è il sole che tramonta e risale e tramonta di nuovo.
Vedo il fratellino di Battista che nuota fra i cavoli, vedo la mamma di Battista appesa alle stagioni, il suo cuore si spacca, un pezzo vola nel vuoto, uno cade fra le mani di Battista.
A quel punto i miei occhi incontrano il vialetto, penso che è tardi, devo comprare ancora i biscotti, mentre il fratellino di Battista non smette di morire per molte stagioni a venire

di là

Più in là della gioia nella stanza, oltre i muri scalati; di là dei vecchi che stringono le ossa nelle case abbandonate; oltre la tenerezza nelle mani, il volo delle giostre, la libertà di una gonna; più in là del fiato dei corpi dentro un giorno azzurro; più di tutta la felicità che si può contenere, oltre quella che fantastichiamo di inventare, 

i prati.

Prima

Prima che fiorisse l’acqua, e l’acqua salisse le nubi, e i pettirossi indicassero il fiume, e i sentieri scegliessero i boschi, e i boschi invocassero il silenzio, le pietre si fusero ai cieli, e questi si aprirono lasciando cadere polvere, e la polvere si impastò all’erba e alla pioggia, e fiorirono le ossa, che aprirono il dolore, che spaccò un seme, e un occhio si sciolse nel centro, cominciò a battere.

L’Apripista

L’apripista è il carro blu che scavalla abeti, nibbi, vola oltre il cordolo del monte. Si mostra come un vento, solleva, porta fuori, invita e rischiaccia dentro. Lo vedo e non lo vedo trascinarmi dove è morte la paura, un’estasi senza la parola. Mi fa grande più di me, poi mi dimezza, mi assottiglia fino al forse del sentire; cuce a fondo il vuoto, lo sbatacchia mentre sto in silenzio. Un suono di mancanza morde, disaccorda, mi lascia senza.