I° premio Sezione A

Martina Campi –  Estensioni del tempo

La struttura che Martina Campi ha dato alla sua opera, Estensioni del tempo, è musicale, una costruzione complessiva dove il ritmo, i silenzi, le pause hanno lo stesso valore conoscitivo delle parole. Siamo di fronte a un libro che osa confrontarsi con la natura e il mondo, interrogandone gli alfabeti. La sua lingua si piega a una nuova sintassi dove abbondano le sinestesie (rumori/croccanti, da/ sgranocchiare), la dimensione è olistica, saltano i confini fra dentro e fuori per farsi percezione pura, emotiva, del verso. Anche lo spazio viene perimetrato e percorso in cerca di risposte, secondo quelle “planimetrie dell’ansia” su cui una lingua preterintenzionale, fusionale e magmatica (senza intenzioni/ si racconta/ dell’ombra degli alberi) batte e ribatte in cerca di echi e assonanze. Una poesia che si offre a piccoli passi, per approssimazioni delicate, progressive. La sua modalità è quella di mettersi in gioco, accucciandosi, nella tenerezza: “accoccolati, cuccioli, primordiali, raccolti”. E dal rapporto con l’altro da sé, nella sezione Memoria delle stelle, l’attenzione si sposta e si alza a comprendere l’universo e il tempo “Abbiamo creato una stella/ in miniatura//(ben presto essa ebbe compagni”. E se anche i corpi celesti, come i mammiferi e altri animali, creano musica cosmica cantando, Martina Campi pratica con i suoi ritmi la dimensione dell’ascolto, affidandosi a un “pensiero cangiante” e “fidandosi del buio”, alla miracolosa, meravigliosa sensazione di “non sentirsi/ definiti”, vivendo dunque ancora nell’ora prima dell’arrivo della luce. –  Loredana Magazzeni

DA: LE VOCI DELLA LUNA N°54 – SPECIALE PREMIO GIORGI 2012

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Estensioni del tempo, Le Voci della luna,  ottobre 2012
A cura di Ivan Fedeli – Prefazione di Loredana Magazzeni  – Postfazione di Enzo Campi

  

DESTINATI A SCOMPARIRE

 la cerimonia del tuono
va da giù a su
(e da su a giù)
e non si rompe niente
ma tutto si trasforma

 

Moto dei corpi celesti 

Passeggiavi una notte
per le vie di Torino
e hai incontrato Richard Bona
nel momento esatto in cui
pensavi a lui.
Semplici traiettorie d’angoli
e strade e capelli per tutti
i chilometri percorsi in precedenza
trasudando stanchezze
con soprabiti d’Africa.

 

*

MEMORIA DELL’ONDA 

e nelle giornate col sole
da qui
si vedono colline
non lontane
dall’idea

 

La danza 

Profondo è il respiro
e sempre
più
pesante
il corpo
nello scivolare
dondolare
oltre la
sera
lieve
partecipano
gli oggetti
cari
e ogni luogo
partecipano
con una fretta
agitata
allargandosi
che poi
lieve
sfiata
lieve
d’ali
disperde
partecipano
alla veglia
smuovono
lo spazio dentro
il blu.

*

Mostr’arsi

Escono
dalle bocche
del maggio
al tramonto
e si rompono
non potendo
attendere
oltre
o ancora
ascoltare
aspettarsi
comparire
sentirsi
nutrire
insieme
seme
di vento
non voci
ma appena
sussurri,
alla corrente
per lungo
tempo
lasciati
per troppo
tempo
senza
neppure
per niente sapere
come dire
cosa dire.

*

MEMORIA DELLE FOGLIE

 Era la valigia
nella risacca
delle lenzuola
Era l’albero
nelle tossi
notturne
Era la finestra
nelle luci
dei messaggi

  

Una concessione

 Nell’abbraccio
ci si stratifica o si prende
il volo
il volo sottratto del venire
al mondo, il volto
addomesticato
gli strati di una
ritirata
necessaria perché terrosa.
Accadono soprassedendo, acuminati
sterminati, infranti
dolenti sui confini
gli stati dell’assenza
le superfici assolate
le morbidezze, nei ritrovamenti

*

 MEMORIA DEL VENTO 

nel giorno terso di nuvole
e voci, si slacciano precipizi delle mura
e del cartone bagnato
s’allungano e si rivoltano
come un gatto al sole
compaiono e ricompaiono
sui dorsi della collina che s’allontana

 

Con te n te zza/e 

Forse era d’estate
la ascolto ancora e ancora
e finalmente abbiamo finito
di ridipingere tutto
per i libri, entrambi
tutto quello che c’è intorno
e bisognerebbe invece
lasciarlo fuori, forse, dov’è già
rendendoci d’amore trasparente
chissà
davvero, così a bruciapelo
lo faresti?
Con lo specchio
da capogiri sempre
onirici omaggi
a “quel” Tarkovsky
o smettere di preoccuparsi
inquieti per non sentirci
“definiti” –
ci siamo, in questo
è chiaro, chiaro come
il nostro pensiero cangiante!
Ti basta? A me mai. Ma a volte,
saperlo, mi sente.
Poi ci sono le persone
E ci sono i movimenti
E se ti raccontassi
Del voler bene?